Sant’Antonio di Gallura Turismo  

Lungo il cammino di Santu Jacu, a Sant’Antonio di Gallura

Di Donatella Muso 

Foto di Mauro Cuccu

Da Cagliari a Porto Torres, da Porto Torres ad Olbia, da Olbia a Orosei, da Orosei a Porto Torres e poi di nuovo a Cagliari. O viceversa. Sono circa 1600 i chilometri che percorrono capillarmente la Sardegna, comprese le isole sulcitane ed il Sinis, lungo uno dei cammini più coinvolgenti dell’isola: il Cammino di Santu Jacu. Sostenibilità, lentezza e consapevolezza sono i cardini di questo itinerario che collega i luoghi di culto dell’apostolo e che accompagna il camminatore alla scoperta dei luoghi più nascosti della Sardegna, a diretto contatto con i suoi abitanti e con la sua natura

Il progetto nasce a Mandas, nel 2009, grazie all’associazione Amici del Cammino di Santu Jacu costituita da un gruppo di appassionati che avevano già percorso i Cammini in Spagna e ambivano a crearne uno in Sardegna che potesse unire la maggior parte delle chiese dedicate a San Giacomo il Maggiore lungo un percorso coerente, vario e ricco di bellezze naturali, emergenze storico archeologiche, luoghi della cultura, borghi caratteristici e, non ultima, l’accoglienza dei pellegrini. Ufficializzato dalla Regione Autonoma della Sardegna come cammino regionale ed inserito nella rete degli itinerari turistici, culturali e religiosi nel 2012, oggi il Cammino di Santu Jacu-Santiago in Sardegna unisce circa quaranta luoghi di culto del santo ed un centinaio di comuni.

Aderisce al progetto anche Sant’Antonio di Gallura che custodisce nel suo territorio la piccola chiesa campestre di San Giacomo, immersa in un parco di lecci e ancora oggi riferimento religioso per l’insediamento sparso detto “cussoggja di Santu Gjacu”. Il tratto che unisce il centro abitato alla chiesa è lungo solo 14 chilometri, ma ricco di luoghi sorprendenti e scorci spettacolari. 

Si può intraprendere il cammino nell’uno o nell’altro senso, ma per il nostro racconto scegliamo la direttrice Sant’Antonio-San Giacomo. Si parte quindi dal centro abitato , seguendo le frecce jacobee gialle su campo blu per scollinare verso valle, in direzione Scupetu, altra cussoggja densamente abitata ancora oggi.

Il percorso è a tratti faticoso, come si conviene al cammino di un pellegrino, ma gli sforzi vengono presto ricompensati dalla vista su spazi immensi che dalle colline santantonesi arriva alle falesie di Bonifacio sovrastate dai rilievi della Corsica. I terreni tutt’intorno sono costellati di stazzi, alcuni in rovina, altri ben conservati, altri ancora abitati.   Si incontrano lungo la via due semplici e graziose cappelle private, una dedicata a Santa Rita, l’altra a Sant’Antonio da Padova, bianchi segnavia che rassicurano il viandante almeno quanto le frecce gialle del cammino jacobeo. L’altura di Monti Santu è vicina e la si dovrà attraversare per raggiungere la destinazione, ma prima ci si può fermare al bosco di Santu Santinu che cela fra i suoi alberi secolari testimonianze di epoche diverse legate fra loro dalla sacralità che si respira all’ombra dei lecci e delle querce da sughero.

Sono numerosi i tafoni, le cavità naturali del granito, che qui a Santu Santinu ospitavano sepolture o offrivano spazi sufficientemente grandi per ambienti di vita, dalle epoche più lontane fino a quelle più recenti. Tra gli anfratti rocciosi si nasconde anche lu pulteddhu, una rudimentale finestra ricavata all’interno di un tafone con soglia e architrave in legno di ginepro a cui la tradizione locale ha attribuito proprietà taumaturgiche. Si dice infatti che attraversandola tre volte ed invocando il santo, si allontanino i dolori addominali per un anno. Percorrendo il bosco la vista si sofferma su un’imponente roccia su cui si erge un muro di pietre posate a secco. Una scala naturale conduce all’ingresso. È l’antico eremo di Santu Santinu, secondo quanto riportano fonti orali e scritte, a cui più tardi verrà dedicata la chiesa a pochi metri di distanza. Non si conoscono l’epoca in cui visse, né l’identità di questo santo eremita che nulla ha a che vedere con il San Costantino tanto venerato in Sardegna e il cui nome in sardo e in gallurese ha forte assonanza con il nostro Santinu.


Lu Pulteddhu

Quando un piccolo stazzu adiacente venne trasformato in chiesa vi si collocò all’interno la sua statua: non quella del santo imperatore Costantino, ma quella di un santo scalzo vestito di un semplice saio. La chiesa di Santu Santinu, molto ben tenuta, appartiene ad una famiglia locale che da generazioni si prende cura sia dell’edificio di culto che del parco, anch’esso privato ma fruibile nel rispetto dei luoghi. Tappa obbligata prima di lasciare il sito è la funtana di gjinnaggju (di gennaio) da cui, a dispetto del nome, sgorga acqua sorgiva durante tutto l’anno ed alimenta un piccolo ruscello che ospita lungo i suoi argini l’Oenanthe Crocata, pianta velenosa della famiglia delle Apiaceae che si contende con altre specie l’identificazione con la più famosa “erba sardonia”.

Il cammino riprende e conduce fino ad un pendio che accompagna dolcemente verso il punto più alto dell’itinerario, il passo di Monti Santu. Tutt’intorno è natura selvaggia ed incontaminata, interrotta solo dallo sterrato che si insinua nel fitto della macchia mediterranea e dei boschetti di ginepro sorvegliati da grandi guglie di granito. Poche centinaia di metri, prima che la vista si apra di nuovo su una larga parte della Gallura: da un lato il golfo di Arzachena, le isole dell’arcipelago maddalenino e la Corsica, dall’altro Capo Figari, l’isola di Tavolara ed il golfo di Olbia. Tanta bellezza in così pochi passi. 


La funtana di ghjinnaggju 

Si scende di nuovo, lungo il declivio che porta più a valle. Ricompaiono gli stazzi. Uno, due, quattro, otto, tanti. E ricompaiono gli orti, le vigne, i frutteti, i pascoli. Le guglie di Monti Santu sono alle spalle e hanno lasciato il posto a conformazioni granitiche più sinuose, scaldate dalla luce del sole: è il granito giallo San Giacomo, dalla colorazione calda e uniforme che prende il nome proprio dalla località da cui viene cavato.

Un’ultima deviazione porta alla meta. Uno stretto ingresso aperto in un muro a secco e guardato da un’edicola votiva introduce all’interno del parco comunale di San Giacomo e annuncia che la gratificazione per il lungo cammino approssima. Il sito è un concentrato di venerabilità, devozione e folclore e racchiude

in un piccolo spazio l’essenza stessa della religiosità popolare della Gallura ove convivono due chiese, un cimitero ed insieme ad essi gli spazi tipici della festa come le cucine, il piazzale per le danze e i banchi per i commensali disseminati per tutto il parco.

La “chiesa nuova”, dedicata a San Giacomo il Maggiore è la vera meta del pellegrino che calca il Cammino di Santu Jacu. Costruita negli anni a cavallo fra l’Ottocento ed il Novecento, si presenta con blocchi di granito a vista e la facciata semplice, ove campeggia il tipico campaniletto a vela che ospita la campana e la croce. L’interno è dotato di una sola navata suddivisa in campate impreziosite da archi a tutto sesto, le travi utilizzate per la costruzione del tetto sono in profumato legno di ginepro, la mensa d’altare è in granito e il pavimento in cotto. Sopra l’altare a barca, in una nicchia centrale, è collocato il simulacro del Santo destinatario di preghiere ed ex voto di fedeli e viandanti. 


A pochi passi, attigua al cimitero, vi è la “chiesa vecchia”, sconsacrata da un lungo tempo. Presenta anch’essa un’aula unica divisa in campate evidenziate da archi e tetto ligneo, ma altre peculiarità la rendono alquanto singolare. È sconosciuta la sua data di fondazione e a nulla sono state utili le iscrizioni sugli architravi dei due ingressi, purtroppo illeggibili. Una terza iscrizione appare invece più chiara, benché scomposta e rovesciata e per questo oggetto di curiosità. Su un concio della facciata del lato corto, infatti, appare il trigramma IHS, introdotto in Sardegna dai gesuiti nel XVI sec ed inciso nella pietra dell’umile chiesetta ma con le lettere invertite e capovolte. Un errore dello scalpellino? Un atto voluto? Una pratica superstiziosa? Un dettaglio interessante e curioso ma la cui ragione rimane purtroppo sconosciuta.



Il Trigramma IHS

Dell’edificio erano sigillati gli ingressi, finché non vennero forzati nel 1995 per l’esecuzione di lavori di restauro condotti dalla Soprintendenza di Sassari e Nuoro che rivelarono, fra lo stupore generale, la presenza dell’antico chjappittu, ossia la cripta che ospitava i defunti al di sotto della pavimentazione della chiesa e spazio architettonico ormai raro nelle chiese campestri della Gallura.

Raccolte le spoglie di chi riposava nell’antica chiesetta fu anche possibile recuperare e studiare interessanti elementi del vestiario dell’epoca, sia maschile che femminile. I commoventi reperti fra cui scialli, gonne in seta, corpetti in broccato, fusciacche maschili in tessuto di cotone, ma anche bardature per cavalli, porta aste e altri oggetti sono oggi esposti al pubblico, presso il piccolo Museo del Territorio di Sant’Antonio di Gallura. 




Donatella Muso



Bibliografia

PANEDDA D., PITTORRU A.: Santantonio di Gallura e il suo territorio tra cronaca e storia, Chiarella, Sassari, 1989

CAPRARA R., LUCIANO A., MACIOCCO G. (a cura di): Archeologia del Territorio, Territorio dell’Archeologia, Carlo Delfino Editore,

Cagliari, 1996

http://www.camminando.eu


LUNGO IL CAMMINO DI SANTU JACU, SANT’ANTONIO DI GALLURA